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Radiohaed TS 502
Torna alla galleryMettere in forse la natura dell’oggetto, dell’individuo e del luogo è compito dell’arte contemporanea fin dai tempi della ricostruzione futurista (prima) e dadaista (poi) dell’universo.
Mettere in sicurezza l’oggetto d’uso quotidiano unendo l’utile al dilettevole, la forma alla funzione, la realtà all’immaginazione, il pensiero al prodotto: questo è il compito del design contemporaneo fin dal tempo dell’elettroricostruzione dell’universo domestico postbellico.
L’oggetto mi viene incontro da par suo bianco, lucente, cromato nei punti cardine. Mi dice “Sono stata la tua radio e non avevi altra radio all’infuori di me”. La fotografo al volo mentre mi viene incontro: Brionvega TS 502, radiobox portatile, composta di due cubi in zama incernierati lungo un lato, predisposta alle manovre manuali dell’apri-e-chiudi, accendi-e-spegni, tutte le volte che ci si mette in ascolto del mondo.
Zamac: zinco alluminio magnesio e rame. Le dico “Ti porto sempre nel mio cuore e nella mia pancia, tra le gambe e nella testa perché fai parte integrante di me e del mio corpo ché, se avesse potuto scegliere lui, avrebbe voluto una carrozzeria proprio come la tua”.
Lei, un’armatura tutta bianca come quella di Aginulfo cavaliere inesistente di Calvino, aperta è nera come un vinile. Lei è un pezzo forte della mia collezione di radio e di ragazze della seconda metà del Novecento.
Si fa ancora più dappresso e mi ricorda “Sono stata io a farti ballare stretto a quella biondina figlia dei fiori e di Dylan”. (Ricorda bene, ma Eliana era figlia più dei Byrds che di Bob). Tutto avveniva nell’appartamento di famiglia dove un bel giorno entrò un giradischi stereo dotato di sistema di caricamento dischi multipli. Tutto bianco anche lui e Brionvega come lei, la radio, aveva preso il posto di una fonovaligia esausta. In camera pullulavano ragazze “yè-yè” con capelli lunghi, frangia e stivali di vernice. Mi dice “Ti ho visto fare e disfare e non sono mai stata gelosa anzi ti ho selezionato le canzoni giuste per approfondire certe conoscenze”.
Le dico “E’ vero, non sei mai stata gelosa e neanche Geloso come certi altri apparecchi radio e registratori”.
Ride con classe. È una radio ma anche un’opera d’arte degna del MoMA (Museum of Modern Art, N.d.R.). Bianca di quel bianco dell’Album Bianco dei Beatles, White Fluxus. Bianca del bianco di Fontana e Castellani, di Paolini e di Kounellis. Nella mia personale galleria d’arte di casa, oltre a lei – radio – emergono tra i libri, una Olivetti lettera 32, qualche reperto di Poesia Visiva (Bentivoglio, Miccini, Caruso), un registratore Geloso, un Leonardo di Mario Schifano, parecchi rasoi elettrici di prima generazione. Lei, chiusa, è un parallelepipedo ben solido e arrotondato sui lati e sugli spigoli, ma quando le sganci il fermaglio e la apri sembra che debba rinascere Venere.
Mi dice “Ora la radio è dappertutto, nel telefonino e dentro il computer, perfino nelle scarpe da tennis, ma anch’io quarant’anni fa ero considerata portatile anche se pesavo come un ferro da stiro e una volta mi sono fidanzata con un mangiadischi che mi aveva portato al mare in una spiaggia senza jukebox… e c’era una radio che come me suonava i Beatles e i Rolling Stones.
È lei, un’autentica Brionvega TS 502 che come me suonava Janis Joplin e Jimi Hendrix, gli Area e i Soft Machine, Cage e Zappa.
Mettere in dubbio la natura di un oggetto inanimato per offrire momenti di sicurezza e di soddisfazione, ecco la missione dell’arte: disegnare e design-are.
Carlo A. Borghi