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Fortuna Sissi
Torna alla galleryEra il 1990 e per la prima volta nella mia vita mi ero innamorato. A dire il vero mi era successo tante volte di perdere la testa per altre ragazze ma era la prima volta che mi fidanzavo veramente.
Avevo diciotto anni e gli ormoni erano vivi più che mai. Non che non ci fosse posto per l’amore, quello vero, quello fatto di sguardi rubati, di gelosie inutili e abbracci senza fine. Il problema era il risveglio degli istinti maschili, ormai incontrollabili, e il mio cervello e il mio corpo che non rispondevano più da molto tempo ad imperativi logici e razionali. In poche parole nella mia mente c’era spazio solo per un pensiero invadente, devastante a volte, fisso come il ronzio di una zanzara che non lascia tregua nelle notti d’estate. Il problema era che lei aveva due anni meno di me e non ne voleva proprio sapere di “andare oltre”. Spesso tornavo a casa con la mascella indolenzita per le ore passate a baciarci senza sosta. Tornare a casa a volte era davvero un’impresa, con mille desideri inappagati e uno stordimento feroce nella mente e nel cuore.
Con il passare dei mesi la frustrazione si impossessò di me e una vaga tristezza aleggiava intorno alla mia testa e il mio cuore cedeva vedendo i miei amici fieri o altre coppiette che si vedeva lontano un miglio che “consumavano” da un pezzo.
Mi sentivo la persona più reietta e sfortunata del mondo e cominciavo a stufarmi. Anche se lei mi diceva che dovevo solo avere un po’ di pazienza, che cominciava a sentirsi pronta, che mancava davvero poco.
Ma quel poco ormai aveva il sapore dell’eternità.
Un giorno quell’anno arrivò la vigilia di Natale e, come al solito, ero in ritardo con i regali. Erano quasi le otto e non avevo comprato ancora il regalo alla mia ragazza. E la cosa non era facile. Lei era alta molto più della media e aveva due belle spalle larghe e anche se più piccola di me sembravo io il più giovane. Si vestiva bene, ma non seguiva le mode – aggiungerei per fortuna ricordando gli anni ottanta! – e ascoltava i King Crimson. Era davvero un’impresa molto difficile. Ma lei leggeva molto. Era l’unico indizio, l’unica cosa alla quale potevo aggrapparmi.
Oramai i negozi stavano chiudendo e con la speranza ridotta in cenere mi fermai davanti ad un negozio di design. Nella vetrina c’erano tante piccole abat-jour di diversi colori. Sembravano fatte di plastica ma la loro consistenza era elegante e l’immagine era di una cosa che poteva andare bene per chiunque ma non tutti avrebbero potuto averla accanto.
Entrai e ne scelsi una, di un colore viola metallico. Mi piaceva, mi piaceva il nome, Sissy, come l’imperatrice. Era un oggetto elegante e grazioso, moderno e un po’ retrò. In fin dei conti non pensai se sarebbe potuta piacerle, dentro di me ero fiero di aver scelto un oggetto così nuovo e così rassicurante e bello, il resto non aveva importanza.
La cosa strana è che la notte di Santo Stefano per la prima volta lei decise di “concedersi”. Peccato che prima che riuscissimo a superare la soglia dei primi baci sua madre ci beccò. Ci eravamo dimenticati di spegnere Sissy…