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CORREVA L’ANNO DELLA CINQUECENTO
Torna alla galleryFu l’anno in cui Gagarin fece il primo viaggio nello spazio che, firmando 20 cambiali, comprai la nuova Fiat 500. Al Camping del “Ponte dell’Acqua” di Isernia la battezzammo “Sputnik”. Come lui, ero pronto dietro il parabrezza della mia fiammante Cinquecento a fare il giro del Mondo sulla Terra.
Purtroppo non avevo ancora la patente e dovetti pregare alcuni amici di farmi da scuola guida, ma soprattutto perché mi limitai a scorazzare con i miei colleghi di lavoro fra Napoli, Cassino, Campobasso e Pescara in cerca di “avventure” nei bar alla moda dell’Autostrada e in quelli dei rifornimenti di benzina che dai juke box diffondevano le canzoni di successo degli urlatori.
Tolta qualche apparizione nelle manifestazioni del ’68, i viaggi a vuoto furono giornalieri e più volte facemmo la conoscenza anche della Polstrada e delle multe appena introdotte.
Venne il giorno in cui un mio compagno di scuola, emigrato a Marsiglia, mi invitò in Francia. L’idea di andare a Parigi aumentò il mio legame sentimentale con la macchina; pronto a tutto partii in agosto da solo con il “tigre nel motore”, attraversai il confine, passai la Costa Azzurra e da Marsiglia ci insediammo in una mansarda parigina.
Qui la Cinquecento veniva salutata da lontano, i giovani si fermavano ad osservarla e noi ne approfittavamo per fare conoscenze. Per diversi giorni la nostra soffitta era sempre piena di amiche a cui piaceva il Made in Italy: incontrammo giapponesine, indiane, americane, africane, spagnole, ma nessuna parigina autentica. Rimanemmo delusi e incominciammo a deviare dai luoghi turistici classici, ma della parigina dei depliant e dei racconti degli amici più scafati non vi era nessuna traccia. Come se ciò non bastasse, una mattina, mentre eravamo fermi nei pressi della Torre Eiffel, un furgoncino ci sventrò una fiancata. Dopo urla bilingue il malcapitato si fece riconoscere come molisano emigrato da Filignano; tornata la pace “in famiglia” si impegnò a denunciare il sinistro all’assicurazione. Noi cercammo subito un’officina perché ci vergognavamo a tornare ad Isernia con la macchina rotta. Il lavoro di battitura fu fatto in giornata, per la verniciatura, invece, dovemmo attendere. La mattina tornammo, ma notammo che la macchina era diventata bicolore. Dopo qualche giorno rientrammo in Italia attraverso il Moncenisio.
Ritrovai gli amici di sempre e andai dal carrozziere di fiducia per riverniciare con i soldi dell’Assicurazione l’intera autovettura. Quel giorno decidemmo di andarcene insieme a Scauri, per cui imboccammo la strada a S. Vittore e ci incamminammo in quella direzione. A metà tragitto ci raggiunse un camion gigantesco carico di frutta che per sfotterci ci strombazzava dietro. Io per evitare storie spiacevoli mi feci sorpassare, ma il carrozziere era talmente infuriato con questi padroni della strada che, giunti alle curve dove di solito si rallentava molto, mi chiese di accostarmi al veicolo, uscì dal tettuccio, si arrampicò sulla sponda del camion e da sotto il telone tirò fuori un cocomero che portò abilmente in macchina. Grazie a questo novello Davide consumammo la nostra vendetta gustandoci in riva al Mar Tirreno il melone sottratto al Golia della strada.