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Con il Grillo per la testa!

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Paolo Scivoletto | 15/03/08

Il suono del trillo ogni tanto mi riemerge dalla memoria. Sbiadito, anzi più che sbiadito, ovattato, come se gli avessero messo una sordina. La sua buffa sagoma – oggi direbbero design – aveva colpito la mia mente di ragazzino delle scuole medie, curioso di questo e di quello: anche un banalissimo telefono (eh, sì... proprio un telefono...) poteva essere oggetto di attenzioni particolari, le stesse che oggi si hanno per i telefon...ini!

Roba d'altri tempi, si dirà, ma è proprio così: ogni cosa a suo tempo, e quindi ogni epoca ha il suo design, che rispecchia i nostri luoghi del vivere. Ma per uno come me, poco più che un bambino, quello strano oggetto anche se presente da un po' di anni nelle case degli italiani – lo avevo già visto altre volte quando andavo a far visita con i miei a casa d'altri – mi faceva sentire come se fossi stato il protagonista o la comparsa di un film di fantascienza, dove carabattole, ammennicoli, cavi, spine, spinotti, prese e controprese si sprecavano, e dove i robot erano pronti a sbucare ad ogni angolo per farti paura.

In seguito, rivedendo certi film dei Settanta, ogni tanto questo strano telefono lo potevo intravedere su qualche comodino o su qualche mensola di un qualunque soggiorno nel bel mezzo di un’inquadratura. Con la coda dell'occhio cercavo di individuare se ci fossero degli oggetti veramente superati, cancellati dal tempo. E tra questi c'era proprio lui, il telefono Grillo!

In quegli anni abitavo ancora con i genitori in un appartamento abbastanza grande. Per motivi di comodità, avevamo fatto mettere due prese telefoniche. Una in soggiorno, l'altra nella stanza da letto, dal lato dove dormiva mia madre, visto che era abituata al sonnellino pomeridiano. I miei lo avevano scelto bianco, quello classico delle foto dei cataloghi. A me, sinceramente, più che un grillo, faceva venire in mente un piccolo topo (non erano ancora tempi dei mouse...!), di quelli da gabbia per gli esperimenti, tipo criceto. Oltre al suono sibilante, una cosa buffa era il rumore che faceva il disco dei numeri nel suo ruotare; e poi, cosa particolare, per comporre un singolo numero non bastava mettere il dito nel foro e girare, bisognava premere una specie di bottone messo dentro il foro del numero e poi girare. Che idea da inventori – pensavo – mentre lo vedevo fare da mio padre o da mia madre.

A dire il vero, però, ripensando a quel periodo, le prese per il telefono in realtà erano tre. La terza si trovava nello studio di mio padre che poi, col tempo, era diventato camera mia, la classica “bella cameretta” con ogni cosa al suo posto, piena di poster, libri e dischi.

Qualche volta capitava che, per darmi delle arie da persona già cresciuta, andassi quatto quatto nella stanza da letto, quella dei “grandi”, per staccare il Grillo, portarlo da me e subito comporre il primo numero che mi passava per la testa, così, tanto per far vedere che sapevo usare i “nuovi mezzi tecnologici”. Finiva che magari mi toccava parlare con qualcuno che non avrei voluto sentire, ma in fondo, però, volevo stare dentro... il ruolo! E fino a quando non me lo chiedevano, lo mettevo in bella mostra su una sedia, sperando in una prossima chiamata.

Ma la persona che lo usava più spesso era mia madre, perché tutte le volte che doveva telefonare o rispondere alle chiamate cercava in tutti i modi di farlo con Grillo e non con l'altro apparecchio: una sua piccola passione. E se nel preciso istante del suono telefonico lei non riusciva a “prendere” chi stava chiamando, si affrettava a dire ad alta voce – per non dire che lo gridava: “Il telefono!! È il Grillo che suona! Rispondete...” Spesso, però, a tale comando non corrispondeva una sollecita reazione degli altri della casa e lei era già in corsa verso l'apparecchio cinguettante, mentre dalla bocca uscivano una serie di lamenti ben diretti ad ognuno di noi, presenti o assenti che fossimo.

Ogni volta che rivedo Grillo immediatamente risento la sua strana vibrazione e la voce di mia madre.